509-LA RIVOLUZIONE D' OTTOBRE(NICOLA II E I SUOI FAMILIARI UCCISI A RIVOLTELLATE) (L.4°/V. XII)
Dal tranquillo esilio di Tobolsk lo Zar è portato con i suoi a Ekaterinburg dopo un tentativo di liberazione ordito dall' Intelligence Service-- Nella primavera 1918 l' avvicinarsi delle armate bianche segna la condanna a morte per tutti i Romanov.
***NICOLA II*** E’ un tranquillo autunno quello che s'annuncia nella cittadina siberiana di Tobolsk dove, per decisione presa da Kerenski in seguito alle « giornate di luglio », è stata trasferita la famiglia imperiale. Palazzo Aleksandrovski, la residenza dell'ex-governatore, non è una prigione dorata come la reggia di Carskoe-Selo: ma i Romanov vi sono sistemati comodamente, e non mancano nel giardino alberi per la scure dello zar, taglialegna appassionato quanto appassionato fotografo. I rapporti con le guardie sono discreti, ottimi quelli con il clero locale, abbastanza buoni quelli con le autorità cittadine. A Tobolsk la vita continua con il ritmo pigro di sempre. Per ora non ci sono nemmeno bolscevichi: e chi comanda è ancora il vecchio consiglio municipale. Nella città, senza ferrovia, l'eco della rivoluzione d'ottobre giunge tardiva, e non sembra turbare né il Natale né il Capodanno dei Romanov. Nicola II legge i tre moschettieri, le belle granduchesse giocano gaiamente nella neve; lo zarevic emofiliaco trascorre giorni malinconici e quieti assistito dal fedele dottor Botkin, e la zarina, rosa dall'artrite e dall'impazienza, inganna il tempo giocando a carte con il generale Tatiscev, un membro della piccola corte (trentacinque persone) che ha seguito lo zar. I bolscevichi giungono finalmente a Tobolsk, ma Nicola non pare preoccuparsene, e legge ora Le avventure di Sherlock Holmes; le notizie delle trattative riguardanti la pace di Brest-Litovsk lo turbano - ma non troppo. Presto però l'atmosfera cambia. L'assegno che il governo passa alla famiglia imperiale è drasticamente ridotto; il cibo sarà d'ora in avanti uguale per prigionieri e guardie: e queste ultime si fanno più severe, più dure, arroganti. La piccola corte s'assottiglia. Come l'inverno, la primavera è inquieta. Le slitte a cavalli portano a Tobolsk gente nuova: giungono i rappresentanti del Soviet degli Urali; giunge da Omsk un occhiuto commissario che va ad alloggiare proprio davanti a Palazzo Aleksandrovski; e mentre a sostituire il consiglio municipale viene eletto un soviet di stretta osservanza, arriva da Ekaterinburg un distaccamento di guardie rosse.
EKATERINBURG(oggi Sverdlovsk) la casa dove il 10 luglio 1918 avvenne l' esecuzione dello Zar e della sua famiglia.******************* Il suo capo chiede formalmente che i Romanov siano condotti nella prigione comune, dove sarà più facile sorvegliarli: la richiesta è respinta, ma solo perché le guardie cui lo zar è affidato rifiutano di acquartierarsi in una prigione. Se gli ultimi zaristi - che si sono fatti vedere più d'una volta a Tobolsk, e che hanno continuato ad ordire le loro deboli, sterili congiure - hanno creduto che la rivoluzione si fosse scordata dello zar, ebbene ora debbono disilludersi. La Ceka è giunta a Tobolsk, e vigila. Ci sono cellule bolsceviche ovunque. La liberazione dello zar, già difficile prima, diventa quasi impossibile ora. Pure, è proprio in queste settimane, e in questa situazione, che si compirà l'unico serio tentativo di liberare Nicola II. Protagonista del tentativo è un personaggio che, concordemente, tutti gli storici definiscono « misterioso »: Vassilli Vassilievic Jakovlev, creduto fino a qualche anno fa agente segreto germanico, ma in realtà agente dell ' Intelligence Service. Presentatesi il 10 aprile al Soviet di Tobolsk quale inviato straordinario del Sovnarkom, esibendo autentiche credenziali, e scortato da autentici rivoluzionar!, Jakovlev comunica d'averne l'incarico di condurre la famiglia imperiale a Ekaterinburg. Malgrado qualche perplessità, qualche sospetto, i bolscevichi di Tobolsk gli lasciano libertà d'azione; « sbarbato, sorridente, in qualche modo confuso » (sono parole di Nicola II), Jakovlev si presenta a Palazzo Aleksandrovski, dice che ci si prepari ad un viaggio e qualche giorno dopo fa salire Nicola, la zarina e la granduchessa Maria su alcune taranias, le slitte siberiane. Nella notte lunare del 14 aprile, il convoglio lascia Tobolsk per la lontana stazione di Tjumen, dove è in attesa un treno speciale, che non dirigerà verso ovest e gli Urali, ma verso est e il cuore della Siberia. Lo zar e la zarina, preoccupati per aver dovuto lasciare a Tobolsk Alessio, indisposto, e le altre tre figlie, non possono immaginarlo ma sono forse ad un passo dalla libertà. Forse l'Inghilterra intende dar loro, segretamente, quella ospitalità che non ha osato offrire palesemente. I bolscevichi però hanno deciso di non fidarsi di Jakovlev: così come hanno seguito la colonna delle tarantas, ora seguono il treno e lo bloccano prima di Omsk. Dopo un convulso incrociarsi di marconigramma tra la Siberia e il Cremlino, Jakovlev riceve dal Sovnarkom l'ordine assoluto d'obbedire al Soviet degli Urali. Quali che fossero i suoi piani, quale che fosse la destinazione di Nicola II (un nascondiglio, probabilmente, in attesa della fuga dalla Russia), ora il treno cambia direzione, torna verso Occidente, e giunge nel freddo mattino del 17 aprile nella città operaia di Ekaterinburg. Qui i Romanov sono alloggiati nella grossa casa dell'ingegner Ipatiev, posta all'angolo tra il corso e la via dell'Ascensione: « E una casa bella e ben tenuta » annota Nicola nel suo diario.
L' esecuzione secondo una ricostruzione fatta sulla base dell' inchiesta giudiziaria del 30 luglio 1918.*************** « Abbiamo a disposizione quattro grandi camere, una camera da letto d'angolo, un bagno, un salone e una sala da pranzo... ». Ma attorno i bolscevichi cominciano ad innalzare una robusta palizzata; e ben presto il relativo agio e la relativa libertà di cui i Romanov hanno goduto a Tobolsk cessano del tutto. Gli operai delle officine Zlokasov, cui è affidata la sorveglianza dei prigionieri, compiono il loro dovere con zelo pesante; il cibo è scarso e volgare: non fosse per le provviste che di tanto in tanto vengono recate dalle buone suore di Ekaterinburg, i Romanov conoscerebbero forse la fame. Della corte, non restano che poche persone, giunte con lo zarevic e le granduchesse il 9 maggio. Qualche giorno più tardi, a Mosca, il Sovnarkom prende in esame il problema di Nicola II del quale, in verità, fino a questo momento non si è occupato molto. Che lo zar vada punito, e con la morte, è in sostanza fuori discussione (già nel 1903, ancor prima dei massacri davanti al Palazzo d'inverno, il congresso dei Socialdemocratici ha respinto l'abolizione della pena di morte al grido: « E per Nicola II? »): si potrà discutere, se mai, quando e come giustiziarlo. Dopo lunga discussione viene deciso un pubblico processo da tenersi a Mosca in luglio - quando cioè ex-alleati ed ex-nemici avranno accettato la realtà del trattato di Brest-Litovsk, e lo zar non conterà più nulla per nessuno. Il rappresentante del Cremlino negli Urali, GoIcscekin, è incaricato di preparare l'incartamento per il processo. Ma non comincerà nemmeno a farlo.
La parete di fondo del locale seminterrato dove venne eseguita la sentenza.************ Qualcosa d'altro accade e segna la fine dei Romanov: dalla Siberia, la legione cecoslovacca comincia la sua avventurosa marcia verso Occidente. Esuli, disertori dall'esercito austroungarico nel quale erano costretti a servire, o prigionieri di guerra, i cecoslovacchi hanno formato in Russia (come altrove: anche in Italia) una legione che si è battuta valorosamente contro i tedeschi e che ora, uscita la nuova Russia dal conflitto, intende continuare a battersi. Ci si accorda per trasferire i cecoslovacchi (novantamila uomini circa) a Vladivostok donde, su navi inglesi, raggiungeranno la Francia; ma i rapporti tra la Legione e le autorità bolsceviche si fanno di giorno in giorno più tesi: per i cechi, Brest-Litovsk è stato un tradimento. Ve qualche primo incidente, qualche sparatoria: e si giunge alle ostilità. I cecoslovacchi decidono che la via di Vladivostok è troppo lunga: ce ne è un'altra, che porta verso la patria: quella dell'Occidente. Sarà possibile aprire nell'Ucraina un nuovo fronte contro i tedeschi. Attorno alla Legione, che comincia ad occupare una città dopo l'altra, vengono raggruppandosi tutte le forze Bianche, antibolsceviche, antirivoluzionarie. È la guerra civile. Per tutto il mese di giugno si combatte con ferocia; l'armata rossa, con i suoi volontari indisciplinati e mal guidati, subisce continui rovesci. Gli Urali sono investiti. Il 10 giugno, un gruppo d'ufficiali bianchi viene affrontato e disperso davanti a Ekaterinburg: è qui, dunque, che mira la controrivoluzione. Corre voce che per i primi di luglio verrà tentata un'operazione in grande stile per liberare lo zar (ancor prima di cominciare fallirà, con l'arresto del più importante congiurato, il 13 luglio). E i Bianchi controllano ora la ferrovia del nord, mentre lungo quella che porta a Mosca sono state segnalate pattuglie ceche. Stabilire dove sia il fronte non è facile, ma a qualche decina di chilometri dalla città s' ode il rombo del cannone... È possibile, si chiedono (e siamo ai primi giorni di luglio) i membri del Soviet degli Urali, cui Goloscekin ha comunicato le decisioni del Cremlino, è possibile trasferire Nicola II a Mosca? No: « c'è il pericolo non indifferente che il cittadino Romanov sia utilizzato dai cecoslovacchi e dai controrivoluzionari ». Al Sovnarkom possono parlare di grande processo, sì, e Trotzki può benissimo immaginare di sostenervi la pubblica accusa, parlando in nome della Russia insanguinata ed umiliata dallo zarismo: ma qui siamo ad Ekaterinburg, non a Mosca. Il nemico sta per aggirare la città da Sud. L'Armata rossa si batte eroicamente, ma non riuscirà a bloccare i cechi e i Bianchi. E quanti di costoro sono nascosti in città, pronti a prendere d'assalto casa Ipatiev? Non c'è tempo da perdere: ogni indecisione può essere fatale. Un inconfessato presagio di sconfitta, un presentimento di fine rende gli uomini del Soviet degli Urali più duri, più intransigenti. Che accadrebbe se Nicola o lo zarevic fossero liberati? Verrebbe formato un nuovo governo, all'ombra delle baionette ceche che: gli alleati lo riconoscerebbero, probabilmente, lo aiuterebbero in ogni modo. Il trattato di Brest-Litovsk verrebbe rinnegato. I tedeschi certo non resterebbero ad attendere in Ucraina: marcerebbero sul Volga, per fermare i cecoslovacchi là. Sarebbe la crisi suprema, e il Soviet degli Urali non intende assumersi una tale responsabilità. Occorre agire, e subito. È « assolutamente necessario liquidare lo zar, la sua famiglia, e tutti coloro che hanno scelto di propria libera volontà di rimanere a sua disposizione ». Goloscekin è incaricato di tornare subito a Mosca, per informare il Sovnarkom e per chiedere il suo benestare; deve rientrare a Ekaterinburg al più presto possibile, e comunque non oltre il 15 luglio: più tardi, potrebbe essere veramente troppo tardi. Mentre Goloscekin parte per Mosca su di un treno postale, un comitato ristretto, formato da Belobodorov, presidente del Soviet degli Urali; da Jurovski, commissario militare; da Voikov, commissario agli approvvigionamenti e da Ermakov, capo della Ceka, si riunisce per preparare tecnicamente l'esecuzione dei Romanov. Su di una cosa tutti sono già d'accordo - e sanno che sarà, questa, la prima raccomandazione del Cremlino -: la faccenda deve essere il più possibile segreta. L'opinione pubblica mondiale potrà accettare la morte dello zar, sì: non quella della zarina, dello zarevic e delle granduchesse. Ebbene, se l'esecuzione deve essere segreta, dice Voikov, non può avvenire in città. Propone di condurre i Romanov nella foresta di Koptiaki, a una dozzina di miglia, e di fucilarli là:il lago di Isseth sarà una tomba insondabile per i cadaveri appesantiti dalle catene e sbarre di ferro. A Voikov s'oppone con veemenza Jurovski: è già un grosso rischio, esclama, fare uscire i Romanov da casa Ipatiev; portarli nella foresta è semplicemente pazzesco. Si sa che la zarina e le granduchesse hanno gioielli cuciti negli abiti, e i gioielli fanno gola a tutti; sì sa che tra le guardie rosse sono numerosi i lettoni, gente fedele,sì, ma ansiosa di vendicarsi sulla zarina tedesca, e sulle sue figlie, di ciò che i tedeschi hanno fatto alle loro donne... Lui, Jurovski, declina ogni responsabilità per quanto potrà accadere nella foresta. Alla discussione pone fine Belobodorov. La faccenda, dice, va studiata con calma, e preparata con la maggior diligenza possibile. Nulla deve essere imprevisto, improvvisato o lasciato al caso. Si tenga soprattutto presente che i Bianchi non (debbono trovare « sacriresti » per impressionare i contadini, o l'Europa... Voikov e Jurovski ridiscutono la (faccenda e trovano un accordo. L'esecuzione avverrà nella stessa casa Ipatiev; i cadaveri saranno distrutti altrove, in un posto che Ermakov è incaricato di trovare. Gli operai che custodiscono i prigionieri sono sostituiti da un plotone di guardie rosse, lettoni e magiari. Un altro reparto di guardie rosse fiancheggerà l'operazione, Ermakov, il 14 luglio, compie una ricognizione nella foresta di Koptiaki, e trova i luoghi adatti: due radure e il pozzo di una miniera abbandonata che, da quattro giganteschi pini, prende il nome de i quattro fratelli. E intanto Goloscekin è rientrato da Mosca con il benestare del Sovnarkom. Tutto è pronto, dunque. Nella stanza numero 3 dell'Hotel Amerika, Belobodorov, Goloscekin, Jurovski, Ermakov e Voikov celebrano, il 15 luglio, una sorta di rapido processo. I Romanov sono ufficialmente condannati a morte. l 16 luglio è una interminabile giornata per Jurovski, cui è stata affidata l'operazione. Egli è, come annota Voikov, « estremamente nervoso ». Nel pomeriggio si reca a casa Ipatiev per vedere se tutto è in ordine. Con Voikov, sceglie il locale per l'esecuzione: una vasta sala del seminterrato, con il soffitto a volta e le pareti ricoperte da tappezzeria a strisce. Tranne tre sedie, tutto il mobilio è portato fuori. Sopra, nelle loro stanze, i Romanov vivono un altro monotono giorno della loro prigionia. Il pensiero che sia l'ultimo non li sfiora nemmeno. E giunge la notte. È l'ora. Jurovski, Voikov ed Ermakov arrivano a casa Ipatiev. Tutte le luci sono spente al primo piano: lo zar e la sua famiglia dormono. Gli uomini del plotone d'esecuzione (nove, di cui sette lettoni) vengono fatti entrare nella sala. Sono armati di fucili Mauser e di pistole Nagan. Nel cortile, attende un camion. Verso mezzanotte Jurovski sale le scale, sveglia lo zar e gli altri. Occorre che tutti si vestano e scendano, dice, perché c'è il pericolo che i Bianchi attacchino la città. Forse sarà necessario un trasferimento. I Romanov si preparano senza discutere; e con loro si preparano il dottor Botkin, la cameriera Anna Demidova, il cuoco Charitonov, il cameriere Trupp e il piccolo sguattero Leonid. Questi s'avvierà forse con gli altri, ma la mano pietosa d'una guardia rossa lo fermerà prima che varchi la fatale soglia del salone del seminterrato. Qui, l'attesa è molto lunga per gli uomini del plotone. Solo verso l'una passata s'odono sulle scale i passi delle persone che scendono seguendo Jurovski. Ed ecco lo zar che entra nella stanza, portando tra le braccia Alessio. Ed ecco gli altri. Lo zar depone il figlio insonnolito su di una sedia, gli si mette vicino; al suo fianco v'è il dottor Botkin. La zarina e le granduchesse sono aggruppate indietro, contro il muro, e così i tre servitori. Tutti sono calmi. Qualche istante di silenzio, qualche parola sussurrata. Poi Jurovski trae di tasca un foglio: « Nicola Aleksandrovic, per decisione del Soviet regionale degli Urali » dice in fretta « siete condannato a morte! » « Come? » domanda lo zar; non ha capito, non può aver capito; si volge verso i suoi, impietriti dallo stupore, dall'orrore; e tornando a Jurovski balbetta: « Ma allora non ci trasferite?... ». « Basta con le chiacchiere! » esclama Jurovski, estraendo la pistola, « la rivoluzione muore... » Spara a bruciapelo in testa a Nicola II, e Voikov, allora: « Fuoco! » grida. Una sparatoria convulsa, urla disperate, e in qualche minuto il massacro è compiuto.
I nove fucilieri( indicati dai nomi) che fecero fuoco sulla famiglia Romanov e il suo seguito.All' esterno nessuno senti gli spari che furono appositamente coperti dal rumore di un autocarro in moto.Il governo Russo comunicò solo la morte di NICOLA II.*************** Qualcuno, destato dalle esplosioni, narrerà d'avere udito l'urlo stridulo d'una donna sovrastare, per un attimo, gli spari delle Nagan. È fatta. I condannati sono a terra, morti o rantolanti nel loro sangue. L'aria è densa di fumo azzurrino. V'è uno « stomachevole odore di sangue ». Jurovski scarica la pistola nella testa dello zarevic, mentre Nicola II riceve un'ultima pallottola da Voikov. I lettoni affondano le loro baionette nei corpi della zarina e degli altri. Qualche ultimo rantolo. Qualche estremo sussulto. Poi silenzio. Ma: « Queste respirano ancora! » esclama Ermakov, chino sui cadaveri. Anna Demidova (che ha cercato di proteggersi serrando Sul volto un cuscino) è finita da un lettone e così Anastasia, cui una baionetta trapassa la testa. Sono quasi le due. Il fumo lentamente è ricaduto, ha formato un'agghiacciante pozza sul pavimento. Le pallottole hanno strappato la tappezzeria, scrostato il muro. Ad uno ad uno, avvolti in coperte, i cadaveri vengono caricati sul calesse che parte subito verso la foresta mentre un reparto di guardie rosse va a bloccare il villaggio di Koptiaki e le strade che portano a i quattro fratelli. I corpi dei Romanov sono scaricati in una radura, e vengono denudati. Le guardie frugano negli abiti aprono con i coltelli i corsetti ed i bottoni. Frugano i cadaveri stessi: “non ci aspettavamo di trovare tanti gioielli”, scriverà poi Voikov, che con Jurovski procede all'inventario. Sotto direzione di Ermakov, intanto, alcune guardie, munite di accette, cominciano a fare a pezzi i cadaveri, ed e preparano una pira di legna resinosa. Vengono scaricati dal camion grossi recipienti di benzina ed acido solforico. Una ventina di minuti, e tutto è pronto; Jurovski però ordina che si attenda e « per assicurarsi che ogni cosa sia fatta a puntino », esamina attentamente, per un buon quarto d'ora, il groviglio di teste mozze, tronchi,braccia e gambe imbrattati di sangu e fango. Ad una domanda di Voikov, che impaziente, vede la notte impallidire, egli risponde come parlando a se stesso: « Mi pare che qualcosa non vada bene... ». « Su, finiamola! » esclama Voikov, e i cadaveri sono gettati sulla pira, cosparsi d'acido e di benzina. È poi appiccato il fuoco che crepiterà sinistramente per ore ed ore, alimentato senza tregua dalle guardie. Il giorno dopo, mentre ancora continua la distruzione dei cadaveri Voikov chiede a Jurovski cos'è stata quella sua perplessità, quella sua frase mormorata. Jurovski risponde di non essere riuscito ad individuare, nel mucchio, la testa colpita dalla baionetta... Da qui nascerà la leggenda di Anastasia, della sua miracolosa fuga dalla morte. Ciò che resta dei Romanov viene poi gettato nel pozzo all'ombra de i quattro fratelli. Tutta la zona sarà sgombrata dai bolscevichi il 19 luglio; sei giorni dopo, Bianchi e cecoslovacchi entreranno in Ekaterinburg. Comincerà l'inchiesta; e dopo lunghe e lunghe ricerche, nel pozzo verrà trovato solo qualche insignificante resto - il pezzo più grosso sarà un dito, l'indice della zarina conservato oggi, a quanto pare, nella cassetta di sicurezza d'una banca di New York. Il 19 luglio 1918. Il Presidium del Comitato Esecutivo Centrale Panrusso viene informato dal suo presidente, Sverdlov, dell'esecuzione dello zar. Più tardi, la notìzia è data all'assemblea dei Commissari del Consiglio del Popolo. Sta parlando il commissario per la salute pubblica, Semansko, che illustra un suo progetto. Entra Sverdlov, che mormora qualcosa a Lenin. Questi annuisce; e quando Semansko ha finito di parlare, dice: « II compagno Sverdlov chiede la parola. Ha delle notizie ». « Ho da parlarvi d'una notizia appena arrivata » dice Sverdlov. « Nicola è stato giustiziato a Ekaterinburg su decisione del Soviet degli Urali. Nicola tentava di fuggire. I cechi avanzano sulla città. Il presidium del Comitato Esecutivo ha approvato la misura. » Nessuno parla. Lenin dice allora: « Torniamo all'ordine del giorno... ».Così scomparvero i Romanov; e in realtà, come lapidariamente scrive W. H. Chamberlin « le rivoltellate di Jurovski e dei suoi lettoni potevano uccidere degli individui; ma lo spirito di lealismo per la dinastia, la devozione alla casa Romanov, che aveva guidato la Russia per più di tre secoli, era già morto, salvo che in una trascurabile frazione del popolo russo... »
la rivoluzione di ottobre
Tratto da Storia Illustrata anno 1971, del mese di 168, numero novembre. Autore: mino milani