470-LA GUERRA ETIOPICA CONTRO HAILE' SELASSIE'(L.3°/V.VI)
"ABIET, ABIET,ABIET....."PIANGONO GLI ABISSINI. L' impiego degli agressivi chimici avviene sistematicamente in più occasioni.Documenti inediti,telegrammi di Mussolini venuti finalmente alla luce, e testimonianze straniere, ne danno oggi piena e autorevole conferma.
Contro queste truppe nel dicembre del 1935 sul Tacazzè, il comandante del fronte Sud Graziani autorizzò l' uso del' iprite.************ Abiet, abiet: la cantilena - in amaraico significa pietà - sgorga come un pianto dalle labbra dei combattenti abissini. Non si tro­vano medicine, le ambulanze so­no state distrutte dalle bombe: è impossibile portare il minimo sollievo ai malcapitati che si di­battono in atroci sofferenze. E il medico Marcel Junod, delegati della Croce rossa internazionale, assistendo alla tragedia può sol­tanto annotare sul taccuino l'or­rore di un'aggressione misteriosa scatenata con l'aviazione. Sui corpi affiorano vesciche che pre­sto si corrompono in bruciature sanguinolenti. Quoram, aprile 1936: non è la prima né l'ulti­ma volta in cui l'iprite colpisce. Il solfuro di cloroetile sparso a tonnellate sulle armate e sui vil­laggi dell'imperatore Hailè Selassiè durante la guerra d'Etiopia. L'impiego dei mezzi chimici da parte fascista (le fonti stra­niere evitano di solito di quali­ficare « italiani » gli autori del­l'uso dei gas) avviene sistemati­camente e su vasta scala, nono­stante le smentite ufficiali: docu­menti e testimonianze portati fi­nalmente alla luce ne danno og­gi piena e autentica conferma. Mussolini stesso, con i suoi perentori telegrammi ai comandan­ti dello schieramento italiano, of­fre la sua parte di verità. L'esperimento di offensiva chi­mica era stato preparato da tem­po. Sin dal luglio 1935 si era dato vita a un cosiddetto « Ser­vizio K » con magazzini nella piana di Ala (Sorodocò) nei pressi della grande arteria Nefasit-Dccamerè per facilitare l'af­flusso dei materiali da Massaua. In tale zona vengono sistemati depositi di aggressivi chimici; magazzini per materiali tecnici come lanciafiamme, nebbiogeni, irroratori; impianti per la produ­zione e compressione dell'azoto; impianti di miscelamento per la composizione dei liquidi da lanciafiamme; depositi artifizi fumo­geni, aggressivi e bombe a ma­no fumogene e incendiarie; de­positi di materiali per la bonifi­ca chimica del terreno; deposito materiale protettivo individuale come maschere, vestiti protetti­vi, calzari, guanti; laboratorio per riparazione di materiali vari. In via sussidiaria agiscono i depositi minori di Adigrat e di Adua, costituiti in seguito. Il ma­teriale arriva rapidamente: nel­l'agosto 1935 per 250 quintali, in settembre per 3000, in ottobre per 400, in novembre per 1100 e in dicembre per 50; così nel gen­naio 1936 per 80 quintali, feb­braio 250, aprile 1000, maggio 40 fino a raggiungere il comples­sivo di 6170 quintali. In quanta parte esso viene utilizzato? Secondo la relazione fi­nale del Servizio chimico non si è avuto modo di « esplicare in periodo operativo la propria specifica attribuzione nel campo offensivo » ma « utilissima fu dal lato sperimentale e di studio l'attività svolta nel comportamento dei principali aggressivi e materia­li protettivi ». Sembrerebbe quasi avanzare l'idea di una sperimen­tazione a fronte vuoto. Tuttavia si ammette che « poiché durante la condotta della campagna non fu dato di constatare da parte delle truppe etiopiche l'impiego dì gas venefici, tale arma non fu nemmeno da noi impiegata, e l'attività sì limitò a distribuire i materiali tecnici in dotazione ai reparti lanciafiamme ».
Un automezzo del "Plotone Chimico" in azione durante la guerra etiopica. I soldati indossano la maschera antigas e una speciale divisa anti-ipritica per attraversare un territorio cosparso di iprite e bonificarlo.********** Probabilmente, larga parte del materiale chimico non viene nep­pure registrata nei depositi per­ché si utilizza senza indugi ap­pena giunta dall'Italia. Contro le « orde abissine » si impiegano per la prima volta i gas asfissianti e vescicanti dopo lo smacco di Dembeguinà (15 dicembre 1935} dove ras Immirù costringe gli italiani a ripiegare fin sotto le porte di Axum. Mus­solini telegrafa a Oraziani: « Sta bene impiego gas nel caso V, E. lo ritenga necessario per supreme ragioni difesa »; e il coman­dante del Fronte Sud non lascia cadere la possibilità di contrasta­re le offensive etiopiche ricordan­do anche un telegramma del 27 ottobre di questo tenore: «Auto­rizzato impiego gas come ultima rado per sopraffare resistenza ne­mico e in caso di contrattacco. Mussolini ».Così sul Tacazzè, qualche giorno dopo, appare il gas come nuova arma tattica. Il Negus protesta davanti alla Società del­le Nazioni, appena avutane noti­zia, con questo telegramma: « Il 23 dicembre hanno fatto uso con­tro le nostre truppe, nella regio­ne del Tacazzè, di gas asfissian­ti e tossici, ciò che costituisce una nuova aggiunta alla lista già lunga delle violazioni fatte dal­l'Italia ai suoi impegni interna­zionali» (si allude al protocollo del 7 giugno 1925).La strada per l'iprite è ormai aperta e Mussolini il 28 dicem­bre da disposizioni pure a Badoglio: « Dati sistemi nemico autorizzo V. E. all'impiego, anche su vasta scala, di qualunque gas e dei lanciafiamme ». Una legittima ritorsione per i « sistemi » adottati dal nemico, allora? La propaganda fascista insiste su' questo punto accusan­do gli abissini di utilizzare pal­lottole dum-dum; inoltre si par­la di mulilazioni sui prigionieri con riferimento specifico al « ca­so Minniti », un giovane aviato­re precipitato dopo aver mitra­gliato un villaggio: invece di ar­rendersi dopo essere stato circon­dato aveva continuato a sparare sui soldati nemici e (pare) sui civili accorsi, facendosi poi mas­sacrare. Una ritorsione comun­que sproporzionata. I gas vengono lanciati attra­verso l'artiglieria oppure con ae­rei, in fusti o con appositi nebu­lizzatori. La denuncia etiopica (riportata dal «Journal Officiel» della Società delle Nazioni, nu­mero 151, anno 1936) così rife­risce: « All'inizio, durante la, fine dell'anno 1935, l'aviazione italiana lanciò sulle mie armate - par­la Hailè Selassiè - bombe di gas lacrimogeno; i loro effetti furono di scarsa efficacia. I soldati impa­rarono a disperdersi in attesa che il vento dissolvesse i gas tossici.
Appositi recipienti contenenti neutralizzanti liquidi o in polvere.********* L'aviazione italiana ricorse allora all'iprite; barili di liquido veni­vano lanciati sui gruppi armati, ma anche questo sistema non si rivelò efficace: il liquido non col­piva che qualche soldato e i ba­rili, a terra, mettevano in guardia dal pericolo. Fu all'epoca del­l'operazione di accerchiamento di Macallè che il comando italiano, temendo una disfatta, applicò il procedimento che ho ora il dove­re dì denunciare al mondo. Dei diffusori furono installati a bor­do degli aerei in modo da va­porizzare, su vaste distese di territorio, una sottile pioggia mi­cidiale. A gruppi di nove, di quindici, di diciotto, gli aerei si succedevano in modo che la neb­bia emessa da ciascuno formasse una coltre continua. Fu cosi che, a partire dalla fine dì gennaio, i soldati, le donne, i bambini, il bestiame, i fiumi, i laghi, i pa­scoli, furono di continuo spruz­zati con questa pioggia mortale ». La conferma è contenuta in un rapporto a firma generale Bernasconi il 12 gennaio (Co­mando delle Forze armate della Somalia, « La guerra italo-etiopica - Fronte Sud », Addis Abeba 1937) che riferisce: «Alle 6 est iniziata partenza aerei bombarda­mento. Partecipano 24 apparec­chi dei quali sei caricanti gas. Lanciato chilogrammi 1700 gas e 7000 bombe calibro vario. Gas lanciato guado Bandu e riva de­stra Ganale Doria sino Uadi Baccasu ». Tra i primi lanci e la fase più intensa Mussolini dispone una brevissima tregua. Telegramma segreto del 6 gennaio 1936, a Badoglio: « Sospenda l'impiego dei gas sino alle, riunioni gine­vrine a meno che non sia reso necessario da supreme necessità offesa e difesa ».Ciò accade poco dopo nel corso della prima battaglia di Tembien il cui incerto esito fa meditare a Badoglio addirittura il ritiro da Macallè nonostante gli ordini pervenuti da Roma (19 gennaio): « La manovra è bene ideata e riuscirà sicuramente. Au­torizzo V. E. a impiegare tutti i mezzi di guerra - dico tutti - sia dall'alto come da terra. Massima decisione. Mussolini ». E con fermezza, Badoglio fa irrorare ripetutamente di iprite gli armati di ras Cassa. Il nuo­vo comandante in capo non se la sente però di inasprire la lot­ta fino a scatenare una guerra batteriologica, anche per il timo­re di vittime tra le stesse truppe italiane, e Mussolini finalmente accetta un consiglio rispondendo seccamente, il 20 febbraio, con un « Concordo con quanto os­serva V. E. circa l'impiego della guerra batteriologica ». E non se ne parla più. Resta aperta, invece, la parti­ta con le armi chimiche. L'eser­cito del Negus, dopo la sconfitta di Mai Ceu, è costretto a riti­rarsi e il 4 aprile si avvicina al lago Ascianghi. La mattina è splendida, le colonne procedono senza timori verso la riva orienta­le in dirzione di Mekarè anche perché nei giorni precedenti aerei italiani avevano lanciato manife­stini invitandoli a non avere pau­ra: il nemico - si leggeva in es­si - è l'Imperatore e non altri. All'improvviso arrivano i bom­bardieri e scaricano oltre 73 ton­nellate di esplosivi misti a iprite. Un carnaio. Hailè Selassiè, salvo per mi­racolo, racconta l'episodio in que­sti termini, e forse con qualche esagerazione allo scrittore fran­cese Marcel Briaule (su « Vu », Parigi, luglio 1936): «Uomini, donne, bestie da soma si abbat­tevano a terra, colpiti dagli scop­pi delle bombe o ustionati mor­talmente.
Un aereo italiano sorvola la zona dell' Amba Alagi durante la campagna etiopica.Graziani si era servito di bombardieri per lanciare iprite e gas asfissianti, in fusti o mediante appositi nebulizzatori, sulle truppe di Hailè Selassie.********** I feriti urlavano per il dolore. Quelli che avrebbero po­tuto sottrarsi a questo macello venivano presto o tardi raggiunti dalla sottile pioggia, diffusa dagli aerei. Ciò che uno scoppio di bombe aveva cominciato, il vele­no concludeva. In realtà era inu­tile tentare di difendere il corpo dal liquido corrosivo. » Altri, gettatisi tra le acque nel tentativo di ristorarsi dalle bru­ciature, perirono per l'alto gra­do di inquinamento del lago. Le ripercussioni sull'opinione pubblica mondiale inducono al­fine Mussolini a sospendere i lan­ci; egli telegrafa perciò a Gra­ziarli, il 10 aprile: « Non faccia -dico: non faccia - impiego di mezzi chimici sino a nuovo or­dine ». Questo arriva l'8 giugno - Addis Abeba è stata conquistata da oltre un mese - per terrorizzare i partigiani che continuano la lotta dopo la partenza del Ne­gus. Telegramma segreto a Gra­ziani: « Per finirla con i ribelli, come nel caso di Ancober, im­pieghi i gas». E intere regioni considerate ri­belli vengono irrorate di iprite per rappresaglia. Ma la situazione internaziona­le impone cautele. E spesso si de­ve ricorrere all'astuzia per pre­venire scandali. Un episodio del genere è raccontato in un libro del giornalista Angelo De Boca. Frugando nel postale Cairo-Lon­dra, fermo allo scalo di Centocelle, alcuni agenti scoprono fo­tografie sospette che riguardano il conflitto italo-abissino. Qualche minuto dopo le fotografie sono sul tavolo del dirigente della se­zione etiopica del Servizio infor­mazioni militari, e poco dopo, su quello del professor Castellano, a quel tempo il miglior specialista italiano di malattie tropicali. Ca­stellano osserva le foto e dice che molto probabilmente gli etiopici fotografati sono stati colpiti da liquidi vescicanti. La situazione si presenta oltremodo imbarazzante. Il professore ag­giunge però che anche i lebbrosi presentano lo stesso quadro clinico, e mostra, a riprova, altre fotografie. Davanti a questa rassomiglianzà il dirigente del Servi­zio informazioni militari prende un'improvvisa decisione. Saranno recapitate regolarmente a Lon­dra le foto che riproducono i lebbrosi. E quando, qualche gior­no dopo, i giornali inglesi pub­blicano le « tragiche immagini ». si avrà buon gioco nel dimostrare che si è trattato soltanto di un « ignobile trucco », ordito dalla propaganda antifascista. Non sempre il gioco riesce. Due corrispondenti di un giorna­le parigino inviano dal fronte italo-etiopico documentazioni con aerei che volano raso terra « ir­rorando instancabilmente con l'i­prite tutte le colture, distruggen­do ogni vita vegetale, riducendo così gli animali alla fame, roden­do i piedi e i polmoni delle popolazioni terrorizzate ».Poi ci sono le memorie dei de­legati della Croce rossa inviate alla Società delle Nazioni. Il dottor Schuppler: « Il 14 gennaio 1936 sono state impiegate bombe a gas; queste bombe hanno uc­ciso venti contadini e io ho cu­rato circa quindici casi di perso­ne colpite dal bombardamento a gas, fra cui due bambini; le bru­ciature sono provocate da gas vescicante utilizzato a sud del colle di Alagi».Il dottor Melly: « Tra il 7 e il 22 marzo curammo dai due ai trecento casi di bruciature da iprìte. La maggior parte dei gas­sati era rimasta momentanea­mente acciecata e dovemmo installare una cllnica speciale ». Il dottor Ulland: «Alle 8 di stamane due apparecchi da bom­bardamento hanno sorvolato Irgalém; alle 17 due ammalati so­no condotti nel nostro campo; entrambi soffrivano dì una vio­lenta infiammazione agli occhi con blefarite ed epifora e di una acuta irritazione alle mucose del naso e della gola. Uno di essi presentava anche una profonda bruciatura della pelle alla pianta dei piedi. In città trovammo al­tre quattro persone che presentavano esattamente gli stessi sin­tomi; soffrivano terribilmente ». E il dottor Junod: « Dovunque, sotto gli alberi, uomini distesi. Sono soldati. Mi avvicino e vedo sui loro piedi, sulle loro mem­bra spellate, orribili bruciature che sanguinano. La vita sta an­dandosene dai loro corpi scaccia­ta dall'iprite ». Da parte fascista si tende a ri­durre la portata di questa strate­gia. « In verità, per la battaglia del Tembien, onde snidare gli abissini ricoverati in caverne -ha avuto modo di confermare il maresciallo Badoglio in una conversazione con la nipote An­na Vallati, sua biografa - feci fa­re per un paio di ore un tiro con gas lacrimogeni e sternutanti. Non vennero mai usati altri gas, tranne una volta sola che, per esperimento, si fece un tiro ad iprite, in una zona fuori dalle linee ordinarie di tiro, constatan­do che l'iprite si era volatizzata ». Due testimoni inglesi ma, que­sto è importante, entrambi filo­fascisti ammettono senza reticenze la guerra chimica portata avanti dallo Stato maggiore ita­liano. Sono James Strachey Bar­nes e Herbert L. Matthews. Il primo ha scritto: « Gli ita­liani non hanno mai negato di aver usato i gas. Essi adoperaro­no l'iprite quando cominciarono a sentirsi legalmente in diritto di farlo, dopo che gli abissini ave­vano violato spesso altre conven­zioni, con la mutuazione dei pri­gionieri, l'impiego delle dum-dum e l'abuso della Croce rossa ». Il secondo ha riferito: « Mister Harrison, corrispondente del New York Times, che era un chimi­co specializzato in gas velenosi, riconobbe l'odore dell'iprite che. era stata gettata tra Altomata e Gobbo » e durante un soggiorno di tre settimane a Quoram vide « quasi ogni giorno bombarda­menti e lancio di iprite da parte di aerei italiani ». Episodi di una guerra che so­lo oggi, a trentacinque anni di distanza, sono venuti alla luce in modo inconfutabile.
LA GUERRA CHIMICA
Tratto da Storia Illustrata anno 1970, del mese di 151, numero giugno. Autore: giacomo de antonellis